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Organici e fame: il lato oscuro delle buone intenzioni

  • Immagine del redattore: Antonino Spoto
    Antonino Spoto
  • 6 mag 2017
  • Tempo di lettura: 3 min

Cosa accadrebbe se nel mondo tutti si convertissero all'agricoltura organica?

Mai fino ad ora mi sono posto questa domanda. Come a quasi tutti – credo – mi sembrava ovvio che il ritorno alle varietà agricole della nonna e l’uso di metodi di coltivazione naturali non potesse avere che effetti benefici: cibo più sano e meno impatto sull'ambiente. Certo non sono mai stato un fanatico dell’organico e tanto meno un attivista; semplicemente ho sempre guardato con favore alle iniziative e alle politiche volte a limitare l’agricoltura convenzionale a favore di una più naturale.

Ma in questi giorni mi sono imbattuto proprio in quella domanda. Se la pone uno dei più noti, letti e citati autori di divulgazione scientifica – Matt Ridley – nel bel libro “Un ottimista razionale. Come evolve la prosperità”. Trattando del rapporto tra aumento della popolazione e sviluppo dell’agricoltura, giunge ad una conclusione che mi ha lasciato di sasso: se nel mondo tutti si convertissero all’organico, le foreste sarebbero distrutte e miliardi di persone morirebbero di fame. Perché?

Dall’epoca della rivoluzione industriale l’aumento esplosivo della popolazione mondiale ha generato previsioni catastrofiche sulla possibilità di produrre cibo per tutti. Dal 1750 e al 1800 la popolazione crebbe da 791 a 1.262 milioni (+60%). Non c’è da stupirsi che all’inizio del 1800 demografi ed economisti concordassero che non sarebbe stato possibile nutrire tutti. Per tenere il passo con la popolazione occorreva espandere la superficie coltivata; però le terre non coltivate erano quelle meno fertili, quindi l’espansione avrebbe rapidamente raggiunto un limite naturale (Thomas R. Malthus, 1798; David Ricardo, 1815). Il ragionamento era impeccabile, ma non teneva conto che l’ingegno umano avrebbe trovato il modo di aggirare il limite, di aumentare enormemente la produttività dei suoli attraverso l’agricoltura intensiva. Dal 1900 la produttività del suolo è cresciuta del 400%, ciò che ha consentito di aumentare la produzione agricola totale del 600%, incrementando la superficie terrestre coltivata solo del 30%. Più che sufficiente a compensare l’aumento della popolazione mondiale nello stesso periodo (400%) e abbastanza per sperare di nutrire i 9,5 miliardi di persone previsti per il 2050.

A cosa si deve tale successo? All’agricoltura intensiva industriale, basata su due fattori principali: a) varietà agricole più produttive, più resistenti ai parassiti e adatte alla coltivazione in climi diversi da quelli di origine (ibridi e OGM); b) fertilizzanti, pesticidi, diserbanti e conservanti di produzione industriale.

L’agricoltura organica bandisce completamente i prodotti chimici e gli OGM e vuole recuperare le varietà agricole antiche, cioè nella sostanza rinuncia ad entrambi i fattori che hanno permesso di tenere la produzione agricola al passo con la crescita della popolazione mondiale.

Sebbene negli ultimi anni anche le tecniche di coltivazione organica abbiano fatto progressi, questi non sono comparabili con quelli dell’agricoltura intensiva industriale. Una meta-analisi (Nature, 10 maggio 2012) relativa al confronto dei rendimenti dell’agricoltura organica e di quella convenzionale è giunta alla conclusione che, mentre per i legumi e i frutti la differenza è solo del 5%, per i cereali (base dell’alimentazione mondiale, specialmente per i poveri) la differenza è del 34%. Lo studio però ha comparato la produttività di terreni coltivati con le stesse varietà agricole, non ha tenuto conto che l’impiego di concimi animali nell’agricoltura organica comporta la necessità di destinare quantità aggiuntive di suolo a pascolo (o alla coltivazione dei prodotti destinati all’alimentazione degli animali) e non ha incluso le perdite di prodotto (successive alla raccolta) imputabili al mancato uso dei conservanti. Se si aggiungessero questi fattori, probabilmente la differenza di rendimento risulterebbe superiore al 50% (basta considerare la differenza dei prezzi al consumo dei prodotti organici rispetto ai convenzionali per farsi un’idea realistica).

Con un rendimento della metà, se nel mondo tutti si convertissero all’agricoltura organica, ne risulterebbe un grave crisi alimentare (ancor più nella prospettiva degli aumenti di popolazione previsti nei prossimi anni) e quindi una corsa alla deforestazione. Oggi è coltivato il 38% della superficie terrestre, ma le terre rimaste sono quelle meno fertili. Probabilmente la deforestazione non si arresterebbe fino all’esaurimento di ogni area naturale e anche così miliardi di persone rischierebbero di morire di fame.

Non è difficile indovinare chi è più a rischio tra gli attivisti europei e gli affamati africani. La scienziata keniota Florence Wambugu ha riassunto efficacemente: "Voi del mondo sviluppato siete liberi di discutere i meriti dei cibi modificati geneticamente, ma nel frattempo noi possiamo mangiare?" (Intervista alla radio CJDA di Montreal, citata in Dr. Joe Schwacrz, The Fly in the Ointment: 70 Fascinating Commentaries on the Science of Everyday Life, Toronto, 2004, p. 29).

Realisticamente, insomma, nelle condizioni attuali l’agricoltura organica può essere solo un lusso per pochi, non un fenomeno mondiale. Si può sperare che le cose cambino in futuro, ma nel frattempo c’è di che riflettere.

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Nel poema di Ariosto Astolfo va sulla luna per recuperare il senno perduto di Orlando. La razionalità è il filo conduttore del blog, diario di idee e letture, in cui prendo spunto da questioni di cultura, società e costume, per segnalare quelli che mi sembrano vizi del pensiero, mancanze di raziocinio.

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